Lo spettro della Felicità
Lo spettro della Felicità

Lo spettro della Felicità

    Uno spettro si aggira per l’Europa. Lo spettro della Felicità.

    Tutte le potenze della vecchia Europa e del nuovo Mondo, il papa e i re, i presidenti, i banchieri e i filantropi, massoni satanisti e milizie corrotte si sono alleati in una santa caccia spietata contro questo spettro.

     Chi non è stato tacciato di idealista del cazzo per aver pronunciato la parola felicità nel momento in cui l’ordine era di obbedire e tacere? E chi non è stato deriso come fumato utopista fuori dal mondo per aver osato indicare l’alba dell’era della felicità?

     Da questo fatto si ricavano due conclusioni.

     La Felicità è tacitamente riconosciuta e temuta come potenza da tutte le potenze europee e massoniche.

     È ormai tempo che gli Eudàimonisti espongano apertamente a tutto il mondo il loro modo di vedere, i loro scopi, le loro tendenze e che la metafora dello spettro della Felicità diventi un concreto Manifesto della Nuova Umanità!

     Molti riconosceranno che ho qui parafrasato, in altra tonalità, quel Manifesto che Marx e Engels pubblicarono nel 1848, anno in cui dalla Francia prese avvio quell’enorme rivoluzione popolare che avrebbe dovuto abbattere il dominio della classe borghese e che, dopo la violenta e sanguinosa repressione, ottenne l’effetto opposto. Non era stata una rivoluzione propriamente socialista e operaia, ma servì a convincere il Potere del tempo, già ben solidamente costituito sulla massoneria intellettuale e finanziaria, a non permettere ribellioni incontrollate. Con il progressivo sviluppo della scienza e della tecnologia, le cupole mondiali dovettero capire immediatamente che la questione posta da Marx sulla proprietà dei mezzi di produzione e sulla concentrazione del denaro in poche mani era vera; in più, essa sarebbe diventata cruciale quando i detentori del capitale avrebbero potuto disporre di strumenti potentissimi per la loro propaganda. Probabilmente, l’onda egemonica cominciò ad avere una prima accelerazione quando, finita la guerra civile e assassinato Abraham Lincoln nel 1865, le logge d’oltre oceano avviarono le manovre che portarono alla nascita della Federal Reserve nel 1913. E con il parto di un mostro indipendente all’interno del governo statunitense il Sistema poteva cominciare a pensare in grande. La sottomissione dei Tanti sarebbe avvenuta impedendo ogni rumoroso moto di consapevolezza riguardo alla scoperta di quell’invisibile gabbia d’acciaio che l’oligarchia monetaria stava allestendo e perfezionando.

    Lo spettro del comunismo spaventò solo quel tanto da indurre ad attivare le contromisure bancarie in grado di finanziare il discredito perpetuo di un’ideologia violenta, atea e materialista, presentata dalla narrazione gridata da pulpiti, cattedre e stampa, quasi sempre a trazione cristiano-massonica, destinata ad una società di analfabeti da mantenere tali. Da quei giorni alla nostra misera attualità si sono scritte pagine e pagine di storia bugiarda fino al midollo, facendo studiare sui banchi di scuola di intere generazioni delle colossali fandonie. Oggi si sta cominciando a smontare pezzo per pezzo un impianto infarcito di falsità e, malgrado la segretazione di molta documentazione capace di sbugiardare i racconti del regime, si fa strada la fondata percezione che le scritture ufficiali siano marce e senza più alcuna credibilità.

    L’ideologia barricadera alla fine non paga mentre il pragmatismo sembra essere vincente, e lo è di più quando è cinico e senza scrupoli. Il decisionismo della massoneria filantropa che si diletta nel narcisistico gioco dell’onnipotenza ha effetti pratici notevoli. Gli incontri e le assemblee di questi demiurghi sono convivi in cui il tributo al business senza limiti di avidità è a rilancio continuo: questi simposi ben protetti ed esclusivi sortiscono i dispacci per le marionette politiche e scientifiche che, ben pagate, hanno l’incarico di eseguire gli ordini. La catena è mantenuta ben oliata, gli anelli inadeguati rapidamente sostituiti. Processi ben mappati muovono da idee chiare sugli obiettivi da raggiungere, passano per le scelte luciferine appropriate dei mezzi più adatti a raggiungerli e orologi di pregio precisi stanno a scandire le tappe per portano al risultato.

    Karl Marx, l’uomo più odiato e calunniato del mondo,  – scrisse Engels – poteva avere molti avversari ma nessun nemico personale. È stato un pensatore a cui la filosofia deve molto: fu di tale livello culturale e onestà intellettuale da far impallidire le infinite mezze calzette e nullità che lo hanno idolatrato o demonizzato. Il suo intento genuino di passare dalla semplice interpretazione del mondo all’impegno fattivo per il suo cambiamento, ne fanno un uomo di rara rettitudine etica, dotato di una comprensione non convenzionale dei fenomeni, con un altruismo che lo ha portato a passare anni di dura miseria, sopportati solo grazie all’aiuto economico dall’amico Engels. Dotato di ingegno vivo supportato da un lavoro instancabile, elaborò analisi approfondite di economia politica che lo portarono a vedere nella prassi rivoluzionaria la sola strada possibile al sovvertimento dell’ordine schiavistico perseguito dal sistema capitalistico. Termini come lotta di classe e dittatura del proletariato lasciavano aperta la via alla violenza, in un momento storico in cui la soluzione dei conflitti nel sangue era purtroppo la barbara testimonianza della religione dell’amore, oppiaceo per le vittime, motivo di odio per i carnefici, infinitamente lontana dallo spirito del suo fondatore. Si affermava che l’emancipazione del proletariato non può avvenire sul solo terreno politico: sembra implicito che acquistare la coscienza di classe possa comportare anche l’uso della violenza. Una possibilità che tuttavia Marx ha il coraggio di dichiarare e motivare apertamente, al contrario dei codardi psicopatici in doppio petto che tramano e attuano da decenni crudeltà nascoste dietro le spregiudicate menzogne di chi vuole cambiare il mondo secondo il più atroce degli egoismi, quello dello stupro sistematico della dignità degli esseri umani. Dichiarare infatti in modo altisonante di voler programmare il bene planetario e attuare meticolosamente il compimento inesorabile dell’esatto contrario è solo perversione di menti malate e cuori afflitti dalla più misera ignoranza emotiva. Ridendo sarcasticamente della massa di creduloni a cui somministrano quotidiane dosi di narcotici massmediatici e altri sedativi, questi individui restano ferocemente fedeli al propria ambizione di dominio. Sono attivi in una ricerca continua su come sodomizzare al meglio i Tanti, spingendoli impercettibilmente nel tritacarne di una perpetua e devastante successione di emergenze. Brandiscono un potere immenso, sono forti di risorse illimitate, possono contare su reti di protezioni costruite sulla corruzione a più strati, eppure sembra che qualcosa recentemente inquieti questi cultori del bafometto. Sì, e ne hanno giusto motivo.

    Perché uno spettro si aggira per l’Europa, lo spettro della Felicità.

Seppur emarginata e ritenuta insignificante, questa dea luminosa non ha nulla di spettrale se non agli occhi di chi la teme più di ogni cosa. Perché coloro che ne conoscono la dirompente forza evolutiva sanno che le persone felici godono di ottima salute: a loro interessa solo il bene, ritengono la verità merce non negoziabile e considerano la libertà il supremo valore della convivenza e non una concessione. Lei è la greca Eudàimonia e porta in sé la divinità del dàimon, il potere invincibile del Bene. Su di lei è stato calato da almeno due millenni l’interdetto dei Pochi: questi individui ne intuiscono l’energia con cui eleva le frequenze vibrazionali degli esseri umani, proteggendoli da ogni attentato al loro destino immortale.

    Tanto si è fatto per sradicare la Felicità dalla coscienza e dal linguaggio che si resta sconcertati dalla sua assordante assenza da programmi e progetti animati da positive  ambizioni di cambiare il mondo. Come è possibile una svista tanto paradossale? Resa ancor più evidente quando si proclama la volontà di recuperare quei valori genuini da porre alla base di una società che abbia nella saggezza e nell’amore i suoi cardini condivisi. Si capisce, il secolare lavoro di rimozione del naturale anelito di ogni cuore alla felicità ha dato i suoi frutti: è capitato di leggere pagine e pagine di dichiarazione d’intenti e di propositi lodevoli e non trovare neppure nominata la dea Felicità.  È il prezzo pagato al devastante smarrimento della distinzione tra fini e mezzi e del loro corretto rapporto. Che sciagura! Generazioni di smarriti sono stati cresciuti da una scuola che non ha insegnato loro che l’essenza dell’autostima è fidarsi della propria mente e sapere di meritare la felicità. Accecati a riconoscere la loro vera natura, questi sono stati spinti senza pietà nelle fauci dei produttori e distributori di mortifera infelicità. Non aver appreso come distinguere ciò che va conosciuto e vissuto come scopo a cui tendere e quelli che vanno annoverati tra le risorse, in qualità di strumenti per pervenire al suo godimento, è una delle cause della povertà spirituale prima ancora di quella economica. Tra l’altro, mentre i fini si contano davvero con poche dita e sono strettamente connessi tra loro, appartenenti tutti all’olimpo della perfezione umana, i mezzi sono potenzialmente illimitati e soggetti a equivocità notevoli, tanto sul versante etico che su quello della legalità.

    Chi, a braccetto con la Felicità, non considera un fine la Libertà, il Bene, la Verità? Realtà sublimi, desiderabili per se stesse e non in vista di altro. Per giungere a loro il saggio, nutrito della consapevolezza antica che esiste una sola sapienza: riconoscere l’intelligenza che governa tutte cose attraverso tutte le cose, individua e vaglia gli strumenti più idonei. La mancanza di conoscenza e di famigliarità con il mondo interiore delle cause porta i distratti nella trappola degli effetti. Voler aprire una porta (fine intermedio) ricorrendo a cacciaviti, pinze e martelli (mezzi) è naturalmente una delle soluzioni possibili, createsi in un’emergenza: una sorta di via muscolare che fa affidamento sulla forza e non sull’esperienza. Essersi muniti di un passepartout può fare al caso. I mezzi sono un regno di indubbio fascino e, non a caso, il loro canto da sirene si presta ad offrire scorciatoie che talvolta possono essere illusorie o maldestre. Dispiace quando, pur con le migliori intenzioni, si vedono brave persone non cogliere le insidie che il mondo degli effetti riserva quando non è luminoso il mondo delle cause grazie alla luce divina dei fini. Basta scorrerli, con sguardo attento, e si noterà come i programmi dei partiti politici, non dissimili da quelli redatti da istituzioni internazionali, proposti sia per ottenere legittimo consenso sia per illudere i creduloni, abbiano una fragilità culturale che si riscontra quasi sempre nella loro intelaiatura denarocentrica. E questo vale anche per molti progetti strutturati sui mezzi, talora travestiti da fini, solo parziali o intermedi e lo si nota sia nell’analisi quanto nelle soluzioni con le quali si intende convincere e portare all’adesione.

    Il bagliore siderale della dea Felicità non raggiunge ancora molti occhi perché il capo è chino, piegato dal fardello di disumanità che oscura la vista del Cielo. Sì, i suoi raggi stanno gradatamente penetrando la coltre della menzogna sparsa a mascherare gli intenti di morte dei criminali pandemici, ma non sembra ragionevole pensare imminente l’apertura della voragine in cui precipiterà il dispotismo schiavista dei Pochi. L’imperialismo dei mezzi è al momento troppo radicato perché l’interesse del pensiero dominante si distanzi dal fare e dall’avere per iniziare la riflessione a partire dall’essere. Ancora onnivori sono i temi del denaro, del lavoro, delle leggi per sperare che si cominci a breve ad affrontare le questioni con un atteggiamento mentale spiritualmente evoluto che muova dal Bene, dalla Libertà, dalla Verità. L’ottundimento delle coscienze ha portato a non discernere con lucidità cosa sia veramente e prioritariamente importante per l’essere umano. Ci vorrà un tempo di risveglio dalla narcosi massmediatica, alimentata in farmacia e inoculata con l’elettromagnetismo ambientale, domestico e tascabile. Anche le elaborazioni di proposte che si distinguono per una volontà benefica di cambiare in positivo il mondo non riescono ad individuare che la loro logica dei mezzi non porta a sviluppare la consapevolezza sulla precedenza assoluta da riservare ai fini. E l’aggravante è quando il peccato di presunzione di partititi politici, movimenti o associazioni porta a considerare le proprie proposte e soluzioni come le uniche possibili ai problemi della contemporaneità. Cadendo del dogmatismo autocelebrativo pagano inesorabilmente il prezzo di volersi definitive in una fase di transizione.

    In un frangente storico come l’attuale, è già un evento che si faccia strada la necessità di disfarsi di molte narrazioni che ci sono state propinate dai libri di storia, accuratamente confezionate per formare cittadini con il catechismo che li rendesse docili pecore alla voce dei pastori. Una complicità sotterranea tra trono e altare doveva preservare i privilegi dei cultori di quel principio, detto del liberismo manchesteriano, secondo il quale più uno fa i suoi interessi, più fa gli interessi della collettività! Perché si demonizzò quanto più si poté Karl Marx? Perché anche i capitalisti più incalliti sapevano che aveva ragione sull’individuazione delle cause della perenne povertà nella quale erano state confinate da sempre intere generazioni; una condizione di miseria e di schiavitù nella quale il potere desiderava che rimanessero. Così, mentre con risorse propagandistiche enormi si cominciò a sbandierare il carattere violento e inaccettabile del comunismo, si lavorava alacremente a distrarre su quanto di demoniaco stava attuando la massoneria finanziaria dopata dal narcisismo avido del controllo. Basta l’onestà intellettuale di un filosofo ed economista come John Stuard Mill, non certo di idee socialiste, a riconoscere qual’era la reale situazione sociale della seconda metà dell’ottocento: Se bisognasse scegliere tra il comunismo, con tutti i suoi rischi, e lo stato presente della società, in cui il prodotto sociale è distribuito in ragione inversa della fatica che s’impiega a produrlo… allora le difficoltà del comunismo non peserebbero un atomo sulla bilancia.

   La parola rivoluzione è stata a lungo la parola magica del cambiamento, ma oggi sappiamo che essa non è mai stata in un’idea partita dai Tanti. Se passate in rassegna con la lente del disincanto, scopriamo che quella americana del 1776 fu un’invenzione di quel manipolo di massoni che pensava ai propri enormi interessi una volta cacciate le truppe di sua maestà. Quella osannata in Francia e in Europa nel 1789 aveva l’architettura data dagli intellettuali illuministi, una buona metà dei quali tra le personalità di spicco erano affiliati alle logge massoniche, compreso l’istrionico Voltaire. Quella napoletana del 1799 durò sei mesi e chi ne narrò le vicende poco dopo capì che nessuna rivoluzione può essere imposta né con la forza delle baionette né ad opera di un’assemblea di filosofi. L’analisi dello storico  fu senz’appello: se il popolo non si muove, nessun rinnovamento e possibile. Di quella del 1848 avviata a Parigi abbiamo già fatto cenno. E che dire dei movimenti rivoluzionari di casa nostra? Mazzini era un libero muratore, Garibaldi il massone dei due mondi, Carlo Pisacane pure un affiliato e il gran visir di casa Savoia, Camillo Benso, conte di Cavour, fu ai vertici della massoneria napoleonica e figura col grado di Maître Elu nella Loggia di Torino. Eroico fu comunque il sangue dei milanesi, dei bresciani e di tutti coloro che sono stati sventrati dalla baionette austriache: questi patrioti credevano davvero al motto: o compagni su letto di morte o fratelli sul libero suol! Quanto poi alla rivoluzione bolscevica del 1917 ci sarà molto da scoprire: essa ebbe il suo leader di spicco nel fratello di 31° grado della loggia massonica parigina Vladimir Il’ič Ul’janov, meglio conosciuto come il compagno Lenin. C’è ragione di ritenere che siamo solo all’inizio della riscrittura della storia degli ultimi trecento anni, madre di questa nostra devastante attualità.

    Che fare? Più cose sono possibili, naturalmente, in un’ampia gamma che va dall’ignavia alla speranza nell’intervento liberatorio degli extraterrestri. Dalla sbadigliata rassegnazione alla speranza in profezie che annunciano una nuova era di positività dopo millenni di malvagità. Tutto lasciato alla soggettiva adesione a qualunque convinzione si creda. A nessuno infatti deve essere impedito il diritto di rappresentarsi i cambiamenti epocali come le sue emozioni gli suggeriscono. Non sono certo nuovi gli esoterismi che vengono da una lunga tradizione di gnosi, misteri e culti diffusi fin dall’antichità, attraversati da veggenze e vaticini mescolati a deduzioni astrali e interpretazioni simboliche da parte di personalità sacerdotali e carismatiche. Bisogna pur aggrapparsi a qualcosa. C’è comunque anche molta iniziativa ammirevole, con l’offerta di soluzioni interessanti, e deve rimanere per tutti l’intangibile libertà di sentirsi propositori di vie ultimative e apportatori del verbo definitivo sulla trasformazione dell’umanità a nuova vita secondo i canoni che meglio sembrano appropriati a descrivere l’esodo delle masse dalla loro infausta condizione. Come non capire che sia un bisogno intenso e diffuso ritenere che la quotidianità bugiarda non possa essere lo stadio ultimo del proprio pellegrinaggio terreno e che ci debba essere qualcosa di più e di meglio in cui confidare già qui e adesso? Perché disperare che ci sia un margine per impegnarsi a fare in modo che le proprie aspirazioni non restino frustrate in pii desideri da illusi? Dovremmo cedere allo sconforto dato dall’impotenza davanti ad un presente che uccide una qualche speranza che esistano celesti praterie lussureggianti dove potersi riposare da un’esistenza attraversata in un modo tanto infame? Da aquile rinchiuse in un pollaio?

    Domande. Ciascuno può aggiungerne altre, la ricerca è ampiamente aperta ad ogni contributo, ma sembra ragionevole pensare che, fintanto che sono attivi gli ingranaggi stritolatori  dell’Agenda ONU 2030, sia l’ipnosi massonica a tenere banco. Ecco perché, per quanto lo spettro divino della Felicità già oggi abbia le ali dispiegate, il suo tempo è per dopodomani. Per le porte del paradiso bisogna attraversare il purgatorio: il fascino dei mezzi è ancora accecante e ci vorrà probabilmente tutto il giorno di domani per uno sguardo che brilli alla luminosità dei fini. Evolviamo nel silenzio dedicandoci al lavoro più importante, quello che risuona infaticabile, con la sua millenaria forza, nelle menti e nei cuori coraggiosi: o uomo, conosci te stesso! E mentre questa conoscenza accade e si diffonde…

    Eudàimonisti di tutto il mondo, unitevi!     

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